A 50 anni dal terremoto che sconvolse il Belice (TP) – anniversario che domenica 14 gennaio ha visto l’omaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sui luoghi del dramma – la Fondazione Orestiadi, coprodotta dalla Fondazione Sant’Elia e in collaborazione con il Comune di Gibellina, porta a Palermo il racconto “plurale” della tragedia con la mostra “1968/2018 PAUSA SISMICA. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni”.
La mostra
La mostra, che inaugura il 27 gennaio a Palazzo Sant’Elia, vede esposti gli scatti dei fotoreporter, il primo servizio del radio giornale, i filmati degli archivi Rai. E ancora: il progetto urbanistico per Gibellina Nuova, i bozzetti dei monumenti e le opere degli artisti che, raccogliendo l’appello del sindaco Ludovico Corrao, parteciparono al tentativo di ricostruzione del territorio nel segno dell’arte.
Alle 16.48, ci fu la terza scossa: si sbriciolarono i muri di Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa. Nella notte, alle 2.33, un’altra scossa molto violenta si avvertì fino a Pantelleria. Ma quella devastante, definitiva, fu alle 3.01: il Belìce non esisteva più, i soccorritori si trovarono dinanzi – quando riuscirono a raggiungere la valle del Trapanese, percorrendo strade distrutte – un paesaggio lunare, paradossale, senza vita. Il terremoto che squassò il Belìce cinquant’anni fa – nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 morirono quasi 300 persone (ma il numero esatto non si saprà mai), 1000 furono i feriti e 70 mila gli sfollati – rase al suolo paesi abitati soprattutto da vecchi, donne e bambini, visto che gli uomini erano emigrati in cerca di lavoro. E portò alla luce una realtà sconosciuta, quella della Sicilia rurale e arretrata che lo Stato aveva dimenticato. Il terremoto del Belìce fu il primo grande “caso” del dopoguerra che mise a nudo l’impreparazione dei soccorritori, l’inerzia dello Stato, lo squallore dei luoghi dove ancora, nel 1976, 47 mila persone vivevano nelle baracche. Le ultime 250 furono distrutte nel 2006.
La mostra va avanti per temi e sezioni che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la complessità dell’accaduto. Si parte dalla notte del terremoto, tra il 14 e il 15 gennaio 1968: gli scatti dei fotografi – Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi – che si precipitarono nella Valle, i primi documenti video, il periodo nelle baracche (Letizia Battaglia). Alla ricostruzione e a Gibellina Nuova è poi dedicata un’intera sezione della mostra che esplora l’urbanistica, le architetture, le sculture attraverso i modelli delle opere realizzate.
Orari e costi
La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 13 marzo 2018 ai seguenti orari: da martedì a venerdì, dalle 9:30 alle 18:30, sabato e domenica dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:30 alle 18:30, lunedì chiuso.
Il biglietto di ingresso ha un costo di 6,00 €; 5,00 € ridotto; 3,00 € per lo studente.
Tag: