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Strade perdute

Mostra di William Marc Zanghi

Strade perdute

Il progetto, pensato appositamente per la galleria palermitana, comprende nuove grandi tele, un lavoro scultoreo in poliuretano espanso e una serie di paesaggi visti a “volo d’uccello” realizzati per la prima volta su carta. Lavori inediti che comporranno un progetto innovativo di grande qualità artistica e potenza visiva. La mostra, curata dal critico Lorenzo Bruni, sarà visitabile fino al 25 maggio, da giovedì a sabato (ore 15.00-19.00).

Il titolo “Strade perdute” è un libero riferimento al film di David Lynch uscito nel 1997 e che anticipava molte tematiche che si sono presentate a livello ontologico successivamente, riguardanti il rapporto tra identità fisica e identità mentale. L’associazione a questo regista è da attribuire anche alla sua predilezione a narrare gli aspetti surreali presenti nel quotidiano, attitudine che William Marc Zanghi da sempre cerca di far emergere con i suoi paesaggi.
La ricerca artistica di WILLIAM MARC ZANGHI, infatti, è caratterizzata dalla capacità di unire particolari reali a dettagli d’immaginazione, per dare vita a paesaggi surreali (foreste, fiumi e paludi ma anche spiagge, isole acide e metafisiche abitate da animali, personaggi enigmatici e insolite creature) che si collocano sul limite tra una forte dimensione onirica e l’ossessione per il realismo dei particolari, tra visioni idilliache e atmosfere inquietanti. Queste scene tra il quotidiano e l’inaspettato sono contraddistinte da una gamma di colori alterati e vernici lucidissime che ne aumentano lo stato allucinatorio, dove si coniugano i suoi luoghi – mentali e fisici – tutti volti a rendere la complessità dell’animo umano.
“Strade perdute” rappresenta un momento di svolta nella ricerca artistica di William Marc Zanghi. Puntini di colore che si affastellano o teste mostruose che nascono al posto di fiori sono gli elementi che in questi anni l’artista ha utilizzato per interrompere la trama della figurazione che lui stesso metteva in scena.
Nella nuova produzione l’artista porta alle estreme conseguenze alcuni elementi formali che spiazzavano e disorientavano lo spettatore all’interno dei suoi quadri precedenti, e si interroga esplicitamente sulla origine di tali elementi. I nuovi lavori, infatti, hanno come protagonisti strane creature dalle sembianze umane, bizzarre teste antropomorfe che inspiegabilmente si ritrovano in territori sempre al limite tra terra e acqua. Ciò che emerge con forza è la necessità – dell’artista innanzitutto- di spiegare la natura (organica-inorganica), nonché la provenienza (autoctona-alloctona) di queste teste. In tal senso, allora, questi elementi appaiono – in una più innovativa dimensione tra allegoria e presentazione – come reperti che l’artista ritrova nel territorio della sua stessa pittura e di cui egli vuole chiarire l’origine. Così – come un ricercatore, come un compilatore di mappe – sente l’esigenza di constatare, rilevare, analizzare e presentare questi elementi formali che “emergono” nei suoi lavori e che egli stesso utilizza.
Nelle nuove tele, le foreste e le case lasciano il posto alla rappresentazione di nuove isole che in questo caso però non evocano un luogo di esilio, ma un luogo di ribollimento di nuove energie. La sfida formale di rappresentare territori d’incontro di terra e acqua, dove mapparne gli elementi stranianti, ha portato poi l’artista ad utilizzare per la prima volta la carta come altro nuovo supporto. Le sculture antropomorfe in poliuretano espanso dai colori improbabili – che nulla hanno a che fare con la tematica del grottesco – affrontano l’idea della auto-ironia che possono avere gli oggetti prodotti/usati dall’uomo e osservati da altri uomini. Questo aspetto è confermato dalla scelta dell’artista di presentarle non come un’installazione o come pittura tridimensionale, ma come reperti o oggetti museali esposti in teche o su piedistalli di metallo che ricordano i display anni sessanta. Così, queste teste che ci guardano o che si fanno guardare con una dimensione indifesa disarmante sollevano la questione in quale contesto collocarle o da quale mondo sono scaturite.
In quest’ottica, la nuova produzione di Zanghi evidenzia una profonda critica alla dimensione pittorica intesa come pura decorazione, e proprio questo approccio concede nuovi significati al suo lavoro.
Le opere in mostra alla galleria RizzutoArte, sia per le nuove tematiche che per la varietà di medium pittorici usati permettono, dunque, di ri-leggere tutto il percorso dell’artista e di ri-collocare la sua ricerca artistica nel superamento del dibattito culturale europeo attorno alla polemica del ritorno alla pittura e del suo confronto con il nuovo realismo digitale.

Come scrive nel testo in catalogo il critico Lorenzo Bruni: “Nell’ultima produzione di Zanghi, le “Strade perdute” non sono quelle fisiche o psicologiche del singolo osservatore, ma quelle ignorate a livello allegorico e simbolico dalla dimensione collettiva. Infatti, il dato di fatto che sembra emergere è che oggi la società, che può essere in contatto con tutti e tutto ma presente a niente, si manifesta in una stasi galleggiante e apatica. (…) Le opere di Zanghi puntano a sublimare questo vuoto per mezzo di un pathos ironico con cui solleva, con voce lieve e forse inconsapevole.



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Per maggiori info: www.rizzutoarte.com
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